lunedì 15 dicembre 2008


Ségolène Royal: l’agilità al potere




Intervista di Pino Finocchiaro per Rai News 24

L’agilità al potere per battere il precariato, l’insicurezza, il disagio sociale, le difficoltà a formare e tenere unita la famiglia. Questa la ricetta di Ségolène Royal, probabile candidata socialista alla presidenza della Repubblica francese.

Al microfono di Pino Finocchiaro, per la trasmissione Tempi Dispari condotta da Carlo De Blasio su Rai News 24, Ségolène Royal ha parlato di un mondo migliore da costruire con senso di responsabilità.

Responsabilità da ripartire e condividere nella parità tra uomini e donne. Per un mondo migliore, più agile e più equilibrato. Un mondo a misura dei bimbi e dei loro sogni. Spesso, realizzabili.


- Le Monde parlando della sua candidatura ha scritto: Panico a bordo. Fa ancora paura una donna sul ponte di comando?
"Un po', un po'. Bisogna che si abituino".

- Perché tante polemiche sul suo nome anche all'interno della sinistra?
"Perché questo senza dubbio corrisponde ad una rottura forte a cui non sono abituati, ma allo stesso tempo ci sono dei movimenti della storia che sono una buona cosa per l'umanità come il fatto che le responsabilità siano ben ripartite tra gli uomini e le donne in tutti i campi. Penso che sia un bene per l'umanità, penso sia più equilibrato".

- Il 52% dei francesi vorrebbe lei all'Eliseo, la confortano queste percentuali?
"Questo prova che i cittadini e il popolo stanno avanzando, ma le elezioni sono ancora molto lontane e i sondaggi non fanno un'elezione. Sono serena, lavoro sulle questioni dell'infanzia e dell'adolescenza che in passato sono state considerate questioni marginali o secondarie. Oggi, ed è una buona cosa, questi argomenti che vengono considerati femminili, a volte con un po' di accondiscendenza, ritornano al centro del dibattito e penso che la scuola, l'adolescenza, l'istruzione, la famiglia siano delle questioni centrali in molti settori. In particolare quando mi batto contro la precarietà del lavoro, lo faccio perché penso che quando i genitori vivono in una situazione di sicurezza dal punto di vista lavorativo anche i loro figli sono più sicuri. I genitori possono quindi assumersi le loro responsabilità. I bambini sono più tranquilli anche quando hanno una casa sicura, non manifestano ansie a scuola e si può chiedere loro di lavorare meglio".


- Il giorno in cui è stata annunciata la sua probabile candidatura, France 2 l'ha intervistata e lei ha risposto a tutte le domande: lotta al precariato, lotta al precariato, lotta al precariato.
"E' questa la parola d'ordine della sinistra, perché gli impiegati non devono subire ne' le esigenze del capitalismo finanziario, ne' quelle della concorrenza internazionale. Bisogna dare agilità alle imprese e bisogna assicurare un reddito a quegli impiegati che subiscono queste conseguenze a causa della realtà economica della concorrenza internazionale. Quali genitori possono allevare bene i propri figli se hanno paura di perdere il lavoro, lo stipendio?
L'equilibrio della società e la qualità dell'educazione dei bambini dipendono dalla sicurezza dei genitori. Questa sicurezza è allo stesso tempo un dovere e un diritto".

sabato 22 novembre 2008

Ciao Sandro, cronista del futuro


L'oro blu 

è il destino 

del mondo

Di Pino Finocchiaro

“La giornata mondiale dell'acqua promossa dalla Fao che si celebra il 22 marzo qui a Roma è un’occasione da cogliere al volo e da trasformare in evento”.
Sandro Curzi, dopo aver proposto di mandare in prima serata il documentario da Oscar di Al Gore, ora chiede che la Rai si occupi della Giornata mondiale dell’acqua indetta della Fao. Evento culminante dopo decine di consessi celebrati nel mondo in questi mesi per affrontare il fatto che un numero sempre maggiore di uomini, donne e bambini non ha accesso all’acqua potabile. E l’acqua in molti paesi del terzo mondo non basta più per le coltivazioni.

Sandro Curzi, ex direttore di Telekabul, sempre più impegnato nel tentativo di portare temi sociali in prima serata, incalza: “In Italia, forse sfugge l'importanza della difesa di questo bene di tutti, di questo patrimonio di noi uomini che viviamo su questo pianeta. Se non stiamo attenti, tra poco ci bruciamo la possibilità di avere quella che abbiamo qui in questa fetta di mondo e vitale in tutte le altre parti del mondo dove già questa assenza si è fatta terribile. L'acqua. La difesa dell'acqua è il tema principale da porre all'ordine del giorno. Insieme ad una questione più generale, quella del pianeta, di che fine facciamo”.

E le notizie non sono rassicuranti.
”Tutti i dati che ci vengono portati a conoscenza da grandi scienziati. Penso ai dati che giungono dalla spedizione in Groenlandia con dati molto esatti, molto precisi. Sul deperimento del nostro ambiente. Sulla possibilità di un disastro ecologico di dimensioni epocali per il nostro pianeta. Non più come pensavamo sino a qualche anno fa, in duecento, trecento anni, e tutti in modo irresponsabile, alzavamo le spalle. Si parla di dieci, venti, trenta, cinquant'anni per cose terribili come l'inondazione di una parte del nostro territorio. Mi sono permesso di dire, pochi giorni fa, dopo aver visto il documentario di Gore, che poi ha ottenuto l'Oscar. "Come. Noi come Rai non facciamo niente? Accade tutto questo e noi?

E noi?
“Ecco. Sto in ufficio. Tengo accesi tutti i televisori sui canali Rai e di Mediaset. Guardo. E' un'ora importante del pomeriggio. Non c'è un'idea in questa direzione. Tutti parlano di cose strane, di cose frivole. Allora, la giornata mondiale dell'acqua, può essere utilizzata affinché il problema dell'acqua ma quello più generale della sopravvivenza del pianeta, possa essere messo all'ordine del giorno delle nostre televisioni. Basta un canale. Uno. Uno solo. Ne abbiamo tre. Uno che dedichi spazio a questi temi. Con le trasmissioni in prima serata se si riuscisse ad ottenere già l'acquisto del film di Gore. Almeno riusciremmo a fare una cosa bella. Importante. Non so quale sarà l'ascolto. L'importante è provare”.

La giornata dell’acqua andrà in consiglio d’amministrazione Rai?
”Proverò a portare questa proposta in consiglio. Ci proverò. Anche riflettendo su un'esperienza che ho avuto con il programma di Gad Lerner dedicato al cancro. Era una serata terribile. Eravamo lì con Pier Luigi Celli a chiederci che risultati poteva ottenere una trasmissione con un tema così difficile mentre in Rai andava in onda il festival. Eppure ha fatto buoni ascolti. Un sacco di gente si è interessata al tema. Il che significa che anche nelle giornate più importanti c'è spazio anche per le altre cose”.

Quindi anche per i temi del lavoro, delle morti bianche, i genocidi, le migrazioni epocali che non riescono a farsi spazio nel palinsesto di prima serata? Abitualmente oscurati.
"Certamente. Intanto. Mi auguro che uno dei canali generalisti si apra a questa giornata evento del 22 marzo".

mercoledì 19 novembre 2008

Zavoli, televisione e guerra


''Media e terrorismo:

non basta dire no''


Dal nostro inviato, Pino Finocchiaro

"Contro il ricatto mediatico del terrorismo e le letture di comodo della guerra da parte dei media l'indignazione non basta. Non basta dire no. Occorrono azioni coerenti anche da parte delle istituzioni. Diversamente andremmo incontro ad una sorta di assuefazione. Il pericolo è la cecità civile e la sordità morale".Sergio Zavoli parla così a Catania. Lo incontriamo in riva al mare, in vista del mitico porticciolo di Ognina. E' intervenuto alla presentazione del libro intervista di Mauro Mazza a Biagio Agnes "Tv, moglie, amante, compagna" edito dalla Eri.

In un clima afoso e impettito l'intervento di Zavoli è apparso come una cascata d'acqua fresca. Una garbata lezione d'antico mestiere per ognuno di noi, piccoli cronisti, tanto provinciali. Zavoli rifugge dalle classificazioni estetiche dal bello al brutto e parla del buono, giudicando "utile" a comprendere la Tv italiana, la Rai in particolare, questo volumetto ricco di nomi e di anedottica.

Zavoli sfugge dal circuito inanellato della critica formale e tocca il cuore del problema: le ragioni del fare tv e tv pubblica in particolare. Parla del suo amore per la tv in questo ch'è tempo di guerra. Sfugge alle categorie della politica. Rivendica davanti al cattolicissimo Agnes il diritto laico a sottolineare l'autorità morale del Papa che condanna parimenti guerra e terrorismo e incita l'umanità alla pace e alla giustizia.

Cerca ancora lo sguardo del cattolico Agnes quando parla del "nostro sociologo" motteggia un attimo di pausa deludendo in una frazione di secondo popperiani e mertoniani per citare Mc Luhan e le sue lezioni, scritte ormai a metà del secolo scorso, sulla potenza del mezzo mediatico.

Non si sperde tra i corridoi di viale Mazzini a rincorrere nomi vecchi e nuovi. Zavoli corre su campi freschi e cieli tersi che spazzano via persino l'afa settembrina che attanaglia la Sicilia. Parla delle due Simone come amiche da difendere. Parla dei bimbi che muoiono di fame come figli d'ognuno di noi che tutti noi abbiamo abbandonato tra le spire della carestia.

Invoca "normalità" e ne sottolinea con Aragon il valore poetico. Conclude con un appello alle "coscienze", spiriti giusti d'ogni colore, affinché si riuniscano attorno alle "idee".

Dopo, in disparte, abbiamo scambiato quattro chiacchiere tra cronisti. Chiamatela intervista, se volete.

Televisione e guerra. Quale il primo risultato evidente?

Siamo stati trascinati in una guerra che non aveva motivo di essere dichiarata in quei termini e sulla base di quelle premesse rivelatesi infondate. La nostra presenza in Iraq ha dato la testimonianza dell'attitudine degli italiani ad essere presenti là dove c'è bisogno di qualcuno che si prodighi nelle situazioni difficili. Questo però non giustifica il fatto che si debba compiacere chi ha voluto con una guerra come questa ridurre l'umanità a dovere concepire un salto di civiltà epocale, al punto da dovere pensare che questa guerra genererà soltanto altre guerre. Che la pace non riuscirà così presto e così efficamente a trovare la strada per affermarsi.

Le due Simone, i tanti bimbi, le tante vittime innocenti della guerra sono un po' le vittime di questa guerra mediatica?

Non c'è il minimo dubbio. Il ricatto che viene consumato attraverso questi sequestri si fonda essenzialmente sull'efficacia dello strumento che viene usato per rendere efficace il ricatto, cioè sullo strumento mediatico che va a raggiungere le grandi masse. Le quali per salvare la vita di una persona sono pronte a entrare in campo a dire la propria opinione a manifestare le proprie idee. La cosa grave è che spesso non si faccia altrettanto da parte delle istituzioni le quali mi sembrano piegate alla logica di una guerra che è stata decisa altrove, senza di noi, soltanto con dello zelo che doveva significare che l'Italia era pronta a dare una mano a chi, francamente, andava là soltanto per tutelare e salvaguardare i propri interessi.

Quali responsabilità ha la comunicazione mondiale rispetto al diffondersi della povertà e della fame nel mondo?

Ci sono cinquantamila bambini che muoiono ogni giorno di fame nel sud della Terra. Penso che se gli strumenti di comunicazione d'ogni parte del mondo si mobilitassero per denunciare uno scandalo di questa natura e di queste proporzioni, credo che qualche risultato si otterrebbe. Il pericolo è la cecità civile e la sordità morale. Per cui le cose rimangono come sono e si trascinano perché nessuno è disposto a gridare un basta risolutivo che implichi, però, un atteggiamento politico. Non soltanto si risolva in una invettiva tanto per dire no, non mi piace, non mi interessa, è una vergogna. Non basta. Bisogna battersi perché le cose cambino.
Qui, in Sicilia, nelle ultime 24 ore sono arrivate mille persone, mille migranti in fuga su fragili barche. Uno sbarco continuo.Penso che bisogna predisporre le condizioni perché chi arriva debba trovare l'accoglienza che va riservata a un uomo e non a un emigrante disperato che non sa quale destino incontrerà.

Non crede che qualcuno stia usando i cannoni mediatici dopo avere auspicato vere cannonate su queste barchette?

Non a caso. Non a caso, la pronuncia di chi vorrebbe usare le cannonate contro le carrette del mare viene affidata alle cannonate mediatiche, come le chiama lei, è l'unico strumento che possa in qualche modo colpire efficacemente la fantasia della gente. Solo che l'opinione pubblica deve risominciare ad avere il proprio ruolo. La mia paura è che così andando le cose, finisca il ruolo dell'opinione pubblica. Ad esempio, questo continuo delegare all'opinionista - a quello, cioè, sempre pronto a pensare per conto terzi - qual è il giudizio da dare sulle cose... so di esagerare epicamente... ma credo che potrebbe implicare domani il rischio di vedere un'opinione pubblica che non è più disposta ad esistere, ad essere se stessa, a dire chi è e che cosa vuole.

mercoledì 29 ottobre 2008


Veltroni: c'era una volta in Rai

di Pino Finocchiaro


"Ricordo una foto di mio padre, primo direttore del Tg Rai. Ritraeva lui insieme ai suoi redattori. Mi dava la sensazione di una squadra. Mostrava quanto fosse unita la loro squadra. La stessa unione. La stessa forza di squadra c'era al Tg1 quando Emilio Rossi ne era direttore".


Walter Veltroni, interviene alla consegna del premio Ilaria Alpi all'ex direttore dell'ammiraglia dei Tg. Veltroni ricorda i tempi perigliosi in cui quella nave affrontò la narrazione dell'aggressione terrorista. L'indipendenza intellettuale di Emilio Rossi che le Br colsero bene tanto da colpirlo in un attentato."E questo giornalista - ricorda il sindaco Veltroni durante la cerimonia nel palazzo dei senatori, in Campidoglio - porta sul corpo i segni del suo lavoro contro il terrorismo, quando le Br lo gambizzarono".


Veltroni elogia Rossi proprio per la sua capacità di galvanizzare la squadra dei giornalisti, appassionare e fidelizzare i suoi ascoltatori con la "dote ormai scomparsa" di lavorare con "discrezione, passione e senso di equilibrio. Dote indispensabile per chi dirige un Tg come il Tg1 che è come camminare su una fune a sette metri da terra, senza rete".


Fu proprio quell'equilibrio, per Veltroni, a costituire la base forte su cui creare "un clima di squadra che attraversava le differenze politiche, pur in anni molto duri per il Paese".


E una presenza non di circostanza quella di Walter Veltroni. E' la vecchia passione per la verità, per la libertà d'informazione, per il servizio pubblico al servizio degli ultimi che riecheggia nelle sue parole.


"Qui c'è la Rai che ha fatto la storia - aggiunge Veltroni - Mi piacerebbe che la Rai recuperasse la vocazione di servizio pubblico. Il che non vuol dire far finta che l'Auditel non esista, ma che non deve essere il primo elemento che determina le scelte".


Anche quando incontra i giornalisti, il giornalista Walter Veltroni invita a fare gioco di squadra per raccontare il Paese. Le storie dei senza voce.


"Bisogna occuparsi di politica nel modo migliore possibile. Ma per fortuna l'informazione, sempre di più, si occupa non solo della cronaca quotidiana della vita politica. Si occupa anche delle grandi questioni della società italiana. E se dovessi dire, mi auguro e spero che dall'informazione venga sempre di più uno sguardo rivolto alla condizione materiale, concreta, di vita del nostro Paese perché questa è quella che conta. Questa è quella che nel momento che viviamo desta nelle famiglie italiane particolare attenzione e preoccupazione"


Ilaria Alpi come esempio per i giornalisti del servizio pubblico?


"Assolutamente. Non solo per il servizio pubblico. Come uno degli esempi del giornalismo possibile. Di quel giornalismo che va a cercare la notizia, che rischia, che non ha paura. Ilaria è stata un esempio un po' per tutti".


C'è ancora troppa distanza tra il giornalismo possibile e quello che si fa?


"Ma no. Se ne fa tanto. Come si vede. In questi giorni c'è un giornalista della Bbc che faceva il suo lavoro e che per questo lavoro sta rischiando. Ce ne sono tanti giornalisti bravi, coraggiosi. Considero il giornalismo una nobile arte, non un problema".


Cosa si può fare in Italia per rendere più liberi i giornalisti?


"Avere più libertà e più pluralismo nell'informazione".


Letto 1602 volte


Roma, 18 aprile 2007


Il dubbio e la verità








L'opinione di Salvatore Borsellino




"Via D'Amelio: strage di Stato"






“Credo che oggi la situazione italiana sia addirittura peggiorata. A volte, sono portato a ringraziare il Signore che oggi Paolo sia morto, così non può vedere in che condizioni si è ridotto questo povero Paese.”




E’ un Salvatore Borsellino particolarmente amaro, quello intervenuto sul palco di “Legalitalia”, il meeting organizzato per il secondo anno dal movimento “Ammazzateci tutti” e dalla Fondazione “Antonino Scopelliti”.




Ma non ancora rassegnato.




Il fratello del magistrato ucciso dalla mafia nel 1992 continua a chiedere giustizia. “Spero che qualche magistrato prima o poi abbia voglia di interrogare nuovamente le persone che all’epoca fornirono versioni poco plausibili, come Bruno Contrada e Giovanni Arcangeli.”“Oggi in Italia la vera informazione non esiste più.”




Tra i bersagli di un Salvatore Borsellino particolarmente combattivo ci sono anche i mass-media.




“Oggi le redazioni televisive lavorano a reti unificate- ha detto - i tg sembrano tanti rotocalchi, e molte notizie sono non solo falsate, ma addirittura occultate. Mi sembra di vivere in due mondi diversi: quello dei blog su internet, dove incontro tanta gente indignata, e il mondo reale, dove la gente non sa assolutamente nulla di quello che accade realmente in Italia.”




“Sono sempre più convinto che quello di mio fratello sia stato un assassinio di Stato”.




a strage di via D’Amelio diventerebbe così “una delle tanti stragi di Stato che nei decenni hanno insanguinato questo Paese. Se è vero che non smetterò mai di chiedere giustizia- ha concluso Borsellino- so anche che lo Stato, come ammoniva Leonardo Sciascia, non potrà mai condannare sé stesso.”

iene e sciacalli


L’antiracket di Capo d’Orlando celebra trent’anni di successi dello scrittore scomodo

Consolo: una scrittura ribelle contro la mafia


Di Pino Finocchiaro

“In Sicilia ci sono stati scrittori ribelli e scrittori che hanno preferito non occuparsi del loro tempo. Sto dalla parte dei ribelli. Della ribellione culturale alla mafia e ai potentati”.

Ho incontrato Vincenzo Consolo nei giardini della splendida villa Whitaker di Palermo. L’ho intervistato per la Tgr siciliana. Dietro le quinte, Consolo può apparire ancor più gustoso di quel che appare nella pur bella intervista che mi ha rilasciato.

Consolo è uno scrittore scomodo e salace. Chi lo conosce afferma: “Se dice cose cattive vuol dire che sta bene”.

C’è n’è per tutti, attacchi diretti al Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: “Non accetto la sua visione deterministica della Sicilia. Quell’alternarsi di eventi ineluttabili contro i quali sarebbe inutile opporsi. I protagonisti delle mie storie si ribellano”.

Già, il successo del “sorriso dell’ignoto marinaio” mandato alle stampe trent’anni fa provocando un autentico terremoto nell’Establishment letterario italiano è la storia di una ribellione. La storia del barone Mandralisca di Cefalù, nobile e rivoltoso. Non è un caso, quindi, se a chiamare a raccolta a alcuni tra i migliori studiosi di letteratura europei siano state non le università ma quell’autentico mastino e cane da guardia delle istituzioni che è Tano Grasso con la sua associazione antiracket di Capo d’Orlando.

“Il seme della ribellione contro la mafia è ormai gettato. Anche quando meno te lo aspetti, dà frutti. Penso ai ragazzi di Addiopizzo l’unica autentica novità di questi anni”. Dice Tano Grasso e giù anche a lui a prendersela contro leoni sonnacchiosi e gattopardi distratti che lasciano a iene e sciacalli la libertà di saccheggiare le libertà morali e materiali della Sicilia. Resta il sorriso dell’ignoto marinaio a suggerirci che “il barone Mandralisca è l’opposto del Gattopardo.


Mandralisca è il vero siciliano: quello che non accetta compromessi, si ribella e paga in prima persona la sua ribellione”. Uno, cento, mille di quei siciliani che hanno accettato la morte come prezzo da pagare ma che non sono morti in silenzio.

“La storia di Mandralisca – ammette Vincenzo Consolo – rispecchia la storia di quegli anni ’70 vissuti mentre scrivevo il libro. Un rinnovamento interrotto. Quasimodo chiamava la televisione il video della vita. Oggi per me è il video della morte”.

Ma le immagini dei media non affievoliscono il senso di ribellione dei siciliani. Non lo affievoliscono neppure i risultati elettorali: “Speravo in un cambiamento alle regionali. Invece…”. C’è una Sicilia sussultoria che non dà tregua né a Fenici né a Spagnoli e che non vuol darne alla mafia e a quell’immensa zona grigia che poi vota come vota.

Tant’è che la ribellione culturale di Consolo al Gattopardo porta a scelte di ribellione linguistica e letteraria. Consolo letterariamente combatte al fianco di De Roberto che nei suoi Vicerè descrive minuziosamente il pascolo oscuro di Catania dove pecore bianche e nere convivono e nel buio alla fine appaiono grigie, indistinte. Il pascolo brado della politica dei compromessi che ha messo in netta minoranza le forze progressiste e che tra quelle stesse forze riesce a scegliere i più adatti, accendendo contratti di padrinaggio non solo metaforici. Spegnendo la speranza degli umili. Rubando le energie di chi ha creduto in una primavera della società civile.

E’ contro quella zona grigia della vita, della politica, della società, della cronaca e della letteratura che si scaglia intatto dopo trent’anni il sorriso del barone Mandralisca.

“Aveva un bel dire il principe di Salina “Dopo noi leoni e gattopardi arriveranno iene e sciacalli”. Giacché quei nobili non si accorgevano di essere essi stessi iene e sciacalli – dice Consolo, col tono soppesato di una sentenza che promana direttamente dalla Storia – Non si accorgevano di aver consentito alle iene e agli sciacalli della mafia di infiltrarsi nei loro feudi e di diventarne poco a poco gli autentici padroni”. Una metafora di grande attualità per i progressisti siciliani.


Destiamoci presto, subito, ora, suggerisce lo scrittore scomodo, adottiamo il linguaggio della ribellione culturale, senza sconti per nessuno. Perché la storia non fa sconti a nessuno. Quando si furon svegliati, leoni e gattopardi, ormai era troppo tardi. Iene e sciacalli li avevano circondati. Affamarli e ucciderli, sarebbe stata questione di tempo. Non molto tempo.


Palermo, novembre 2006