mercoledì 19 novembre 2008

Zavoli, televisione e guerra


''Media e terrorismo:

non basta dire no''


Dal nostro inviato, Pino Finocchiaro

"Contro il ricatto mediatico del terrorismo e le letture di comodo della guerra da parte dei media l'indignazione non basta. Non basta dire no. Occorrono azioni coerenti anche da parte delle istituzioni. Diversamente andremmo incontro ad una sorta di assuefazione. Il pericolo è la cecità civile e la sordità morale".Sergio Zavoli parla così a Catania. Lo incontriamo in riva al mare, in vista del mitico porticciolo di Ognina. E' intervenuto alla presentazione del libro intervista di Mauro Mazza a Biagio Agnes "Tv, moglie, amante, compagna" edito dalla Eri.

In un clima afoso e impettito l'intervento di Zavoli è apparso come una cascata d'acqua fresca. Una garbata lezione d'antico mestiere per ognuno di noi, piccoli cronisti, tanto provinciali. Zavoli rifugge dalle classificazioni estetiche dal bello al brutto e parla del buono, giudicando "utile" a comprendere la Tv italiana, la Rai in particolare, questo volumetto ricco di nomi e di anedottica.

Zavoli sfugge dal circuito inanellato della critica formale e tocca il cuore del problema: le ragioni del fare tv e tv pubblica in particolare. Parla del suo amore per la tv in questo ch'è tempo di guerra. Sfugge alle categorie della politica. Rivendica davanti al cattolicissimo Agnes il diritto laico a sottolineare l'autorità morale del Papa che condanna parimenti guerra e terrorismo e incita l'umanità alla pace e alla giustizia.

Cerca ancora lo sguardo del cattolico Agnes quando parla del "nostro sociologo" motteggia un attimo di pausa deludendo in una frazione di secondo popperiani e mertoniani per citare Mc Luhan e le sue lezioni, scritte ormai a metà del secolo scorso, sulla potenza del mezzo mediatico.

Non si sperde tra i corridoi di viale Mazzini a rincorrere nomi vecchi e nuovi. Zavoli corre su campi freschi e cieli tersi che spazzano via persino l'afa settembrina che attanaglia la Sicilia. Parla delle due Simone come amiche da difendere. Parla dei bimbi che muoiono di fame come figli d'ognuno di noi che tutti noi abbiamo abbandonato tra le spire della carestia.

Invoca "normalità" e ne sottolinea con Aragon il valore poetico. Conclude con un appello alle "coscienze", spiriti giusti d'ogni colore, affinché si riuniscano attorno alle "idee".

Dopo, in disparte, abbiamo scambiato quattro chiacchiere tra cronisti. Chiamatela intervista, se volete.

Televisione e guerra. Quale il primo risultato evidente?

Siamo stati trascinati in una guerra che non aveva motivo di essere dichiarata in quei termini e sulla base di quelle premesse rivelatesi infondate. La nostra presenza in Iraq ha dato la testimonianza dell'attitudine degli italiani ad essere presenti là dove c'è bisogno di qualcuno che si prodighi nelle situazioni difficili. Questo però non giustifica il fatto che si debba compiacere chi ha voluto con una guerra come questa ridurre l'umanità a dovere concepire un salto di civiltà epocale, al punto da dovere pensare che questa guerra genererà soltanto altre guerre. Che la pace non riuscirà così presto e così efficamente a trovare la strada per affermarsi.

Le due Simone, i tanti bimbi, le tante vittime innocenti della guerra sono un po' le vittime di questa guerra mediatica?

Non c'è il minimo dubbio. Il ricatto che viene consumato attraverso questi sequestri si fonda essenzialmente sull'efficacia dello strumento che viene usato per rendere efficace il ricatto, cioè sullo strumento mediatico che va a raggiungere le grandi masse. Le quali per salvare la vita di una persona sono pronte a entrare in campo a dire la propria opinione a manifestare le proprie idee. La cosa grave è che spesso non si faccia altrettanto da parte delle istituzioni le quali mi sembrano piegate alla logica di una guerra che è stata decisa altrove, senza di noi, soltanto con dello zelo che doveva significare che l'Italia era pronta a dare una mano a chi, francamente, andava là soltanto per tutelare e salvaguardare i propri interessi.

Quali responsabilità ha la comunicazione mondiale rispetto al diffondersi della povertà e della fame nel mondo?

Ci sono cinquantamila bambini che muoiono ogni giorno di fame nel sud della Terra. Penso che se gli strumenti di comunicazione d'ogni parte del mondo si mobilitassero per denunciare uno scandalo di questa natura e di queste proporzioni, credo che qualche risultato si otterrebbe. Il pericolo è la cecità civile e la sordità morale. Per cui le cose rimangono come sono e si trascinano perché nessuno è disposto a gridare un basta risolutivo che implichi, però, un atteggiamento politico. Non soltanto si risolva in una invettiva tanto per dire no, non mi piace, non mi interessa, è una vergogna. Non basta. Bisogna battersi perché le cose cambino.
Qui, in Sicilia, nelle ultime 24 ore sono arrivate mille persone, mille migranti in fuga su fragili barche. Uno sbarco continuo.Penso che bisogna predisporre le condizioni perché chi arriva debba trovare l'accoglienza che va riservata a un uomo e non a un emigrante disperato che non sa quale destino incontrerà.

Non crede che qualcuno stia usando i cannoni mediatici dopo avere auspicato vere cannonate su queste barchette?

Non a caso. Non a caso, la pronuncia di chi vorrebbe usare le cannonate contro le carrette del mare viene affidata alle cannonate mediatiche, come le chiama lei, è l'unico strumento che possa in qualche modo colpire efficacemente la fantasia della gente. Solo che l'opinione pubblica deve risominciare ad avere il proprio ruolo. La mia paura è che così andando le cose, finisca il ruolo dell'opinione pubblica. Ad esempio, questo continuo delegare all'opinionista - a quello, cioè, sempre pronto a pensare per conto terzi - qual è il giudizio da dare sulle cose... so di esagerare epicamente... ma credo che potrebbe implicare domani il rischio di vedere un'opinione pubblica che non è più disposta ad esistere, ad essere se stessa, a dire chi è e che cosa vuole.

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