sabato 8 agosto 2009

Ciancimino, il Tavolino e i Cavalieri


Articolo 21 - Editoriali

Dalla Chiesa, l’Apocalisse dei Cavalieri


di Pino Finocchiaro


Eredita’ cospicua quella lasciata da Carlo Alberto Dalla Chiesa ai Siciliani. Non solo per il sacrificio della vita condiviso con la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. Non solo perche’ quella strage obbligo’ il parlamento a varare la legge che istituiva il 416 bis, sull’associazione mafiosa. Innanzitutto e soprattutto per aver indicato nel connubio tra affari, politica e mafia il nodo da sciogliere. Perche’ aveva impiegato bene i suoi cento giorni a Palermo, l'ex generale dei carabinieri.


E’ accaduto venticinque anni fa. Un altro secolo, un altro millennio. Ma la breve avventura del generale Dalla Chiesa alla guida della prefettura di Palermo, ha inciso in modo rilevante nei metodi investigativi di questo quarto di secolo che ci separa dall’attentato con cui Cosa Nostra pose fine alla sua intenzione di porre ordine negli appalti siciliani.


"Ogni anno – spiega il presidente della commissione Antimafia, Francesco Forgione - questo anniversario ci ricorda che ci volle il suo sacrificio per ottenere che la legge principale per contrastare la mafia fosse varata dal Parlamento.


“Ancora adesso tutti quelli che lottano contro la mafia possono farlo anche grazie al sacrificio di Dalla Chiesa, che dimostro' gia' all'epoca di aver capito che uno dei fronti piu' difficili da affrontare fosse quello delle collusioni con la politica eche proprio dalla politica non ottenne gli strumenti necessari".


Perche’ il nodo da sciogliere oggi come allora e’ quello del rapporto tra le zone grigie della società e delle istituzioni con il potere surrettizio di Cosa Nostra. Il nodo del riciclaggio dei proventi di droga ed estorsioni in attivita’ imprenditoriali assolutamente lecite. Dagli immobili alle compagnie aeree, dai supermercati alle industrie chimiche, dagli alberghi alle agenzie di viaggi.


Quando Dalla Chiesa giunse a villa Whitaker mise subito all’indice le più grandi imprese catanesi che erano sbarcate a Palermo con il consenso di Cosa Nostra. Un fatto epocale che mostrava la grande adattabilità negli affari dei nuovi vertici della mafia siciliana. Li chiamavano i Cavalieri dell’Apocalisse. A denunciarne i misfatti era rimasto col suo gruppo di “carusi” solo il direttore del periodico ‘I Siciliani”, Pippo Fava, che sarebbe stato ucciso da li’ a poco, nel 1984, proprio per fare un favore ai “Cavalieri”.


Di Dalla Chiesa, cosi come di Fava, nei palazzi dei Cavalieri si mormorava “questi non ci fanno lavorare”. E per lasciarli lavorare in santa pace i vertici di Cosa Nostra non esitarono a farli fuori entrambi.


Per i Cavalieri del Lavoro che reggevano i fili della politica in Sicilia fu pero’ l’inizio della fine. Dopo Dalla Chiesa giunse a Catania un questore, Luigi Rossi, che propose il confino per tre Cavalieri denunciando la loro pericolosità sociale. Come pietra in uno stagno, la richiesta di confino fece mormorare la Sicilia bene. Come, i loro cantieri sono aperti in Africa e Medio Oriente, fanno affari con gli Stati Uniti, possiedono giornali e televisioni private, sono dei benefattori e gli sbirri / prima il carabiniere poi il poliziotto / si accaniscono su di loro? Ovviamente del confino non se ne fece nulla.


Da li’ a qualche anno un giudice catanese avrebbe assolto i Cavalieri dell’Apocalisse con una storica sentenza, negando ogni responsabilita’ penale in quanto avrebbero accettato i contatti con i clan solo per costrizione ambientale.Una costrizione che ne’ un politico come Pio La Torre ne’ un imprenditore come Libero Grassi avevano accettato e per questo furono uccisi da Cosa Nostra.


Il seme della legge La Torre e la volonta’ di Dalla Chiesa diedero i loro frutti. Ci furono altre indagini patrimoniali, ci fu il maxisequestro da cinquecento miliardi contro uno di loro accusato di aver ispirato l’omicidio di Pippo Fava, accusa mai provata in giudizio, e per i Cavalieri di Catania inizio’ l’apocalisse. Alcuni provarono a vendere, altri riuscirono a riciclarsi all’estero. Uno di questi gruppi fini’ negli Stati Uniti tra le ditte che producono apparati di sicurezza nel dopo 11 settembre. Ma fu proprio quell’indice puntato sugli affari da Carlo Alberto Dalla Chiesa a provocare l’apocalisse dei Cavalieri, spesso citati negli atti giudiziari prodotti da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.


Dalla Chiesa si sentiva solo. Lo confido’ a Giorgio Bocca in una delle sue ultime interviste. "Ero in vacanza e il generale Dalla Chiesa mi chiamò: venga a Palermo, devo parlarle. Presi il primo aereo e arrivai in quella palazzina che era il suo quartier generale. Entrai senza che nessuno mi fermasse per un controllo. In quel momento ebbi la percezione di una battaglia persa".


Ma Dalla Chiesa avvertiva quella solitudine come una garanzia. Non andava alle feste per evitare di essere inconsapevolmente attratto in zone grigie e buchi neri della buona societa’ palermitana. Buona ma neghittosa. Dove nessuno parlava di mafia, ma tutti pagavano il pizzo.


Il vicepresidente della Commissione antimafia, Giuseppe Lumia, ricorda che "quando fu ucciso la sua morte fu soprattutto una conseguenza della solitudine in cui si trovo' a combattere contro Cosa nostra. Una solitudine che fu per gran parte responsabilita' del mondo politico. Se allora nacque il 416 bis oggi dobbiamo lavorare perche' le normative sulla mafia siano capaci di contrastarle veramente".


Se oggi gli industriali siciliani prendono posizione contro il racket e minacciano espulsioni e’ anche grazie al sacrificio di Carlo Alberto Dalla Chiesa.


"Oggi – ricorda ancora Francesco Forgione - il suo ricordo deve spingeretutti ad individuare quali nuovi strumenti operativi e legislativi devono essere realizzati: per questo lavoreremo per avere un corpo unico delle norme antimafia, migliorare leggi e procedure per il sequestro e la confisca dei beni e nuove norme sullo scioglimento dei consigli comunali".


L'ex generale dei Carabinieri che era riuscito a piegare le Brigate Rosse nulla aveva potuto contro il patto scellerato tra politica, mafia e affari in Sicilia. Le sue indagini sui grandi gruppi industriali e sulle connivenze con i vertici di Cosa Nostra furono il primo motivo della sentenza di morte decretata dalla mafia.Oggi lo ricordano in molti. Tutti ricordano che dopo l'attentato di Palermo fu varata la legge sull'associazione mafiosa.


Ma contro i kalashnikov di Cosa Nostra lo Stato non aveva concesso a Dalla Chiesa ne' un'auto blindata ne' una vera scorta, ne' i poteri speciali che Dalla Chiesa aveva chiesto sin dalla nomina a prefetto di Palermo. A conclusione di quei cento giorni, ci fu chi fece sparire la sua agenda dallo studio di villa Whitaker, sede della prefettura. A Palermo, capita.
Venticinque anni dopo qualcuno in Sicilia si accorge che la mafia uccide il libero mercato. Dalla Chiesa lo aveva detto inascoltato, venticinque anni fa, un altro secolo, un altro millennio. Poi, lo uccisero.




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