sabato 14 novembre 2009




Chi ci mandò a Nassiriya senza dirci che lì si era in guerra?




AURELIANO AMADEI: TRE ANNI DOPO CHIEDO VERITA'



di Pino Finocchiaro *




"Tre anni dopo, sembrerebbe tempo di tirare le somme. Ci sono bilanci positivi e ombre da dissipare. Positivo sta nel fatto che l'informazione sulla tragedia di Nassiriya sta iniziando a mettersi in moto. Ci sono stati alcuni mezzi di informazione, come voi di articolo 21, che hanno iniziato presto a raccogliere segni di malcontento tra i familiari delle vittime e i sopravvissuti della strage. Altri iniziano a farlo adesso, tre anni dopo".



Aureliano Amadei, aiuto regista, unico civile sopravvissuto alla strage della base Maestrale, celebra i tre anni di una nuova vita con in braccio la figlioletta nata da pochi mesi: il ché è già un bel miracolo dopo quella deflagrazione che lo fece volare in aria. Era stato un attore acrobata, in pochi secondi si ritrovò vivo ma zoppicante. Aureliano, porta ancora i segni di quell'urto, zoppica ancora. Ma il suo passo artistico si è fatto spedito.




Il libro "Venti sigarette a Nassiriya" scritto con Francesco Trento è stato accolto bene dalla critica e vende in libreria. Adesso Aureliano lavora alla sceneggiatura di un film che potrebbe essere prodotto dalla Rai. Ma Aureliano, tre anni dopo, la strage in cui perse la vita il suo produttore esecutivo, Stefano Rolla, chiede solo verità. Vuol sapere chi e perché li mando a Nassiriya senza informarli della guerra incombente. Vuol sapere come mai tra i produttori del film che avrebbero dovuto girare si trovava un vecchio arnese dei servizi come Achille De Luca, recentemente arrestato insieme al presunto re Vittorio Emanuele nell'inchiesta di Potenza?



Il clima informativo dei primi giorni era pesante.




"Nei primi giorni si faceva finta di niente. Subito si è prospettato che le difese della caserma fossero inadeguate ma non se ne è parlato sino a pochi mesi fa. I carabinieri mi avevano detto che lo sapevano pure i sassi che sarebbe accaduta la strage di Nassiriya. Parlavano di scontri a fuoco prima dell'attentato mentre in Italia si parlava di un clima sereno. Parlavano di minacce e avvertimenti con tanto di numeri di targhe. Allora, prima di partire, tutto questo non ci stato detto. Quest'anno, invece di pompose cerimonie e parate per ricordare i poveri italiani si inizia a ragionare su quello che è successo quel giorno".



Anche tra i familiari c'è sete di verità.




"Sino a pochi giorni fa ho sentito i familiari dei caduti che ancora chiedono di sapere come sono morti i loro cari. Ancora non ci è stato detto se sono caduti a causa della riservetta o di altre mancanze che questa caserma aveva".



E le vittime civili?




"Ecco, non sono ancora emerse le chiare responsabilità di chi ha inviato una troupe cinematografica in zona di guerra casusando la morte di tre persone, oltre a Stefano Rolla, il capitano Ficuciello e il maresciallo Olla. Ovvero, la nostra scorta. Non è stato chiarito attraverso quale iter sono stati ottenuti questi permessi.



"Uno dei produttori del film, Achille De Luca, è stato arrestato nell'ambito dello scandalo che ha portato in carcere Vittorio Emanuele. Inoltre è emerso che De Luca aveva contatti con i servizi segreti e quindi all'interno del ministero della difesa. Il film poteva contare sul patrocinio oneroso del ministero della difesa. Altri patrocini venivano dai dicasteri degli Esteri e Beni culturali. Certo è strano che uno stato restio a darti un permesso per fare riprese sull'autostrada Salerno Reggio Calabria per i rischi che comporta, abbia concesso a due piccole società di produzione (Matrix e Gabbiano) il permesso per fare un film, non un documentario o un servizio televisivo, in Iraq dove si spara. Sono zone oscure da chiarire".



Sei un testimone privilegiato eppure non tutti giudici che indagano ti hanno sentito.




"La procura militare mi ha sentito. La procura penale no. Abbastanza singolare? Sì, è vero. La mia testimonianza è stata spesso snobbata. Meglio per l'informazione, così non sono tenuto a nessun segreto istruttorio e posso parlarne con la stampa".



Cogli una certa voglia di dimenticare?




"Si è cercato di non parlarne nel periodo immediatamente successivo. Ora che rappresenta meno una minaccia per i vertici che stanno cambiando, si lascia che la verità emerga".



Alessandra Savio, vedova del sottotenente Merlino, invoca per la memoria del marito e dei suoi colleghi il conferimento di una onorificenza militare. Cosa ne pensi?




"Non è stata ancora chiarita la modalità della morte per ognuno di loro e questo ha una ricaduta sulla mancata assegnazione del riconoscimento al valor militare. Si dovrebbe ammettere lo stato di guerra a Nassiriya. Ma i nostri contingenti sono ancora lì. Penso che per le vedove ci sarà parecchio da lottare.



A Nassiriya c'era la guerra o la pace?




"Lasciamo perdere le mie personali impressioni. Sono stato così poco a Nassiriya. Ma ho raccolto molte testimonianze: le caratteristiche sono quelle di una zona di guerra. I nostri militari partecipavano ad azioni di offensiva. Penso alla battaglia dei ponti e alla ripresa della caserma Libeccio. Azioni spesso comandate dall'esercito britannico. I carabinieri sono stati impegnati in scontri a fuoco ripetuti e continui. La raffineria operava sotto scorta del contingente italiano, per un tentativo di guadagno petrolifero. Tutte cose che mi fanno pensare alla guerra non alla pace".
* Intervista realizzata nel mese di novembre 2006






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