sabato 30 aprile 2011

Alzatevi, andiamo


Santo da subito, Beato adesso

di Pino Finocchiaro


“Santo, subito”, urlano trecentomila persone stipate in San Pietro. Il guardiano dell’ortodossia cattolica, il cardinale Joseph Ratzinger li rassicura. “Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra del Padre, ci vede e ci benedice”.
Possiamo stare certi che le prime benedizioni, le prime carezze dalla Casa del Padre, Karol Wojtyla le ha riservate ancora una volta agli ultimi, ai diseredati, ai giovani ai quali il consumismo, il collettivismo e la violenza dei poteri forti tentano ogni giorno di rubare il futuro. “Ricordatevi di me -disse Wojtyla - mai più la guerra”.
Sì, la prima benedizione del Papa acclamato santo a furor di popolo è per loro. Non per i potenti delle prime file. Non per lo loro valigette nucleari, non per i simboli del potere.
Una carezza per l’umanità. Una benedizione per un mondo confuso tra est e ovest, tra sud e nord, tra fame e opulenza, tra alluvioni e siccità. Un’umanità  piegata alla quale Karol il Grande ha insegnato a risorgere già  su questa terra col suo grido “Non abbiate paura”.
Un Papa operaio. Vero operaio, con le scarpe grosse, che dedica l’eroismo della quotidianità  alla Madre del suo Maestro. Un operaio che fa della fabbrica il suo vero seminario.
Un Papa che vaga per il mondo non alla ricerca di proseliti ma dell’uomo da ascoltare ed amare.
Un dialogo aperto a tutti gli uomini. A tutte le confessioni. A chi non ha confessione e persino a chi le confessioni ha umiliato in nome dell’ateismo di stato.
E’ un dialogo difficile, da comprendere.
Gli ultimi, i semplici, sono i primi a comprenderlo.
Dotti e teologi fremono ad ogni sua enciclica. Gli uomini, le donne i bimbi che tirano la carretta ogni giorno, no. Lo sentono vicino nelle bidonville brasiliane come nelle fabbriche assassine del sud est asiatico.
Persone semplici che oggi lo riconoscono in quella bara di legno semplice con una semplice croce marcata sull’asse che la chiude a coperchio. Con quella M che ricorda la Madonna cui ha dedicato la vita, ed ancora quella croce, che a guardarla bene ricorda piuttosto una T maiuscola. Maiuscola come il suo motto “Totus tuus ego sum”.
Una vita dedicata alla teologia della speranza. Perché nei conflitti esteriori tra integralismo e teologia della liberazione Papa Giovanni Paolo II seppe leggere l’intima forza del carisma. Ad entrambi, a tutti, Karol il Grande propose la via della Speranza. Speranza nella misericordia di Dio. Speranza negli umili, i primi a cogliere la forza liberatrice dell’Amore.
Testimone di Pace, Libertà  e Giustizia. Instancabile nell’invitarci ad alzarci dal nostro letto di dolore, di incomprensione, di morte civile per riscoprire qualcosa di superiore che sta dentro e fuori di noi.
“Alzatevi, andiamo” ricorda Ratzinger nell’omelia funebre. Con quelle parole ci ha risvegliato da una fede stanca, dal sonno dei discepoli di ieri e di oggi.
“Seguimi”, l’imperioso invito che il sacerdote Wojtila riceve tante volte nella vita e che ogni volta accoglie senza badare al sacrificio. Un sacrificio che diverrà  testimonianza sino all’ultimo Amen.
“Il nostro Papa - ricorda Ratzinger - lo sappiamo tutti, non ha mai voluto salvare la propria vita, tenerla per sè ; ha voluto dare se stesso senza riserve, fino all’ultimo momento, per Cristo e così anche per noi?”.
Ecco perché gli umili lo acclamano santo, gli ultimi lo conclamano primo tra gli uomini. Non li ha affascinati con le suggestioni del rito o con la magniloquenza.
La sua eredità  più grande non è per i semiologi ma per gli ignoranti. Non occorrono studi e belle letture per capire che l’Amore è il principio di tutto. Comprendere che Pace, Giustizia, Libertà  sono l’esatto opposto di Guerra, Tirannia, Oppressione. Se vuoi essere uomo sul solco di Cristo non puoi vivere in bilico. Devi scegliere.
La speranza operosa di Wojtyla rompe le catene dell’oppressione ma non vuole conflitti tra classi: auspica dialogo, confronto, pari dignità . Chiede “con l’autorità  di un padre” che si liberino i sequestrati in Iraq così come aveva chiesto anni prima per le vittime dei sequestri in Italia e nel mondo.
La vita, la libertà  sono beni indisponibili all’uomo perché dono di Dio. Lo grida nella Valle dei Templi ai mafiosi, lo urla benedicendo i piccoli senza scarpe e senza cibo delle favelas brasiliane tuonando contro i pedofili e i trafficanti di organi che di quelle povere creature fanno carne da macello.
La speranza operosa di Karol il Grande e all’orecchio dei semplici. Delle comunità  che nascono tra i poveri, i diseredati, i truffati dalle scorrerrerie di borsa del Sud America.
I giovani lo ascoltano e lo seguono. Sino all’ultimo viaggio. Fanno di questo funerale un fatto di vita, non di morte.
Son lì, italiani, polacchi, spagnoli, asiatici, africani, americani. Con le loro bandiere e i loro striscioni guardano sui grandi schermi il vento che batte le pagine del Vangelo posto su quella semplice bara.
Sono venuti qui a salutarlo. Vogliono cogliere l’ultimo messaggio in quel Vangelo che s’apre e si chiude. Quelle pagine che corrono leste da destra a sinistra, da sinistra a destra. Come se la mano dell’arcangelo Michele le sfogliasse per lui che ha raggiunto la Casa del Padre e per noi che non è ancora il momento.
Quelle pagine parlano d’amore e speranza. Parlano al cuore degli umili molto più della suggestione mediatica, dei cori e delle belle parole.
“Voi siete qui, ed io non vi ho abbandonato”. Sembra dire il Papa polacco. E quelli, gli umili, i semplici, i carcerati, i perseguitati per aver pronunciato parole di verità  si prendono per mano e pregano per lui e per noi.
Gli ultimi sanno di esser primi al suo cospetto e - fregandosene delle gerarchie e dei tempi canonici -  per primi gridano “Santo, subito!”. Nell’altare della propria coscienza, ognuno di loro lo ha già  eletto Santo. Chi non crede ancora in Dio, già si rode nel dubbio: “E se Dio fosse veramente Amore?”.






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