mercoledì 29 ottobre 2008


Veltroni: c'era una volta in Rai

di Pino Finocchiaro


"Ricordo una foto di mio padre, primo direttore del Tg Rai. Ritraeva lui insieme ai suoi redattori. Mi dava la sensazione di una squadra. Mostrava quanto fosse unita la loro squadra. La stessa unione. La stessa forza di squadra c'era al Tg1 quando Emilio Rossi ne era direttore".


Walter Veltroni, interviene alla consegna del premio Ilaria Alpi all'ex direttore dell'ammiraglia dei Tg. Veltroni ricorda i tempi perigliosi in cui quella nave affrontò la narrazione dell'aggressione terrorista. L'indipendenza intellettuale di Emilio Rossi che le Br colsero bene tanto da colpirlo in un attentato."E questo giornalista - ricorda il sindaco Veltroni durante la cerimonia nel palazzo dei senatori, in Campidoglio - porta sul corpo i segni del suo lavoro contro il terrorismo, quando le Br lo gambizzarono".


Veltroni elogia Rossi proprio per la sua capacità di galvanizzare la squadra dei giornalisti, appassionare e fidelizzare i suoi ascoltatori con la "dote ormai scomparsa" di lavorare con "discrezione, passione e senso di equilibrio. Dote indispensabile per chi dirige un Tg come il Tg1 che è come camminare su una fune a sette metri da terra, senza rete".


Fu proprio quell'equilibrio, per Veltroni, a costituire la base forte su cui creare "un clima di squadra che attraversava le differenze politiche, pur in anni molto duri per il Paese".


E una presenza non di circostanza quella di Walter Veltroni. E' la vecchia passione per la verità, per la libertà d'informazione, per il servizio pubblico al servizio degli ultimi che riecheggia nelle sue parole.


"Qui c'è la Rai che ha fatto la storia - aggiunge Veltroni - Mi piacerebbe che la Rai recuperasse la vocazione di servizio pubblico. Il che non vuol dire far finta che l'Auditel non esista, ma che non deve essere il primo elemento che determina le scelte".


Anche quando incontra i giornalisti, il giornalista Walter Veltroni invita a fare gioco di squadra per raccontare il Paese. Le storie dei senza voce.


"Bisogna occuparsi di politica nel modo migliore possibile. Ma per fortuna l'informazione, sempre di più, si occupa non solo della cronaca quotidiana della vita politica. Si occupa anche delle grandi questioni della società italiana. E se dovessi dire, mi auguro e spero che dall'informazione venga sempre di più uno sguardo rivolto alla condizione materiale, concreta, di vita del nostro Paese perché questa è quella che conta. Questa è quella che nel momento che viviamo desta nelle famiglie italiane particolare attenzione e preoccupazione"


Ilaria Alpi come esempio per i giornalisti del servizio pubblico?


"Assolutamente. Non solo per il servizio pubblico. Come uno degli esempi del giornalismo possibile. Di quel giornalismo che va a cercare la notizia, che rischia, che non ha paura. Ilaria è stata un esempio un po' per tutti".


C'è ancora troppa distanza tra il giornalismo possibile e quello che si fa?


"Ma no. Se ne fa tanto. Come si vede. In questi giorni c'è un giornalista della Bbc che faceva il suo lavoro e che per questo lavoro sta rischiando. Ce ne sono tanti giornalisti bravi, coraggiosi. Considero il giornalismo una nobile arte, non un problema".


Cosa si può fare in Italia per rendere più liberi i giornalisti?


"Avere più libertà e più pluralismo nell'informazione".


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Roma, 18 aprile 2007


Il dubbio e la verità








L'opinione di Salvatore Borsellino




"Via D'Amelio: strage di Stato"






“Credo che oggi la situazione italiana sia addirittura peggiorata. A volte, sono portato a ringraziare il Signore che oggi Paolo sia morto, così non può vedere in che condizioni si è ridotto questo povero Paese.”




E’ un Salvatore Borsellino particolarmente amaro, quello intervenuto sul palco di “Legalitalia”, il meeting organizzato per il secondo anno dal movimento “Ammazzateci tutti” e dalla Fondazione “Antonino Scopelliti”.




Ma non ancora rassegnato.




Il fratello del magistrato ucciso dalla mafia nel 1992 continua a chiedere giustizia. “Spero che qualche magistrato prima o poi abbia voglia di interrogare nuovamente le persone che all’epoca fornirono versioni poco plausibili, come Bruno Contrada e Giovanni Arcangeli.”“Oggi in Italia la vera informazione non esiste più.”




Tra i bersagli di un Salvatore Borsellino particolarmente combattivo ci sono anche i mass-media.




“Oggi le redazioni televisive lavorano a reti unificate- ha detto - i tg sembrano tanti rotocalchi, e molte notizie sono non solo falsate, ma addirittura occultate. Mi sembra di vivere in due mondi diversi: quello dei blog su internet, dove incontro tanta gente indignata, e il mondo reale, dove la gente non sa assolutamente nulla di quello che accade realmente in Italia.”




“Sono sempre più convinto che quello di mio fratello sia stato un assassinio di Stato”.




a strage di via D’Amelio diventerebbe così “una delle tanti stragi di Stato che nei decenni hanno insanguinato questo Paese. Se è vero che non smetterò mai di chiedere giustizia- ha concluso Borsellino- so anche che lo Stato, come ammoniva Leonardo Sciascia, non potrà mai condannare sé stesso.”

iene e sciacalli


L’antiracket di Capo d’Orlando celebra trent’anni di successi dello scrittore scomodo

Consolo: una scrittura ribelle contro la mafia


Di Pino Finocchiaro

“In Sicilia ci sono stati scrittori ribelli e scrittori che hanno preferito non occuparsi del loro tempo. Sto dalla parte dei ribelli. Della ribellione culturale alla mafia e ai potentati”.

Ho incontrato Vincenzo Consolo nei giardini della splendida villa Whitaker di Palermo. L’ho intervistato per la Tgr siciliana. Dietro le quinte, Consolo può apparire ancor più gustoso di quel che appare nella pur bella intervista che mi ha rilasciato.

Consolo è uno scrittore scomodo e salace. Chi lo conosce afferma: “Se dice cose cattive vuol dire che sta bene”.

C’è n’è per tutti, attacchi diretti al Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: “Non accetto la sua visione deterministica della Sicilia. Quell’alternarsi di eventi ineluttabili contro i quali sarebbe inutile opporsi. I protagonisti delle mie storie si ribellano”.

Già, il successo del “sorriso dell’ignoto marinaio” mandato alle stampe trent’anni fa provocando un autentico terremoto nell’Establishment letterario italiano è la storia di una ribellione. La storia del barone Mandralisca di Cefalù, nobile e rivoltoso. Non è un caso, quindi, se a chiamare a raccolta a alcuni tra i migliori studiosi di letteratura europei siano state non le università ma quell’autentico mastino e cane da guardia delle istituzioni che è Tano Grasso con la sua associazione antiracket di Capo d’Orlando.

“Il seme della ribellione contro la mafia è ormai gettato. Anche quando meno te lo aspetti, dà frutti. Penso ai ragazzi di Addiopizzo l’unica autentica novità di questi anni”. Dice Tano Grasso e giù anche a lui a prendersela contro leoni sonnacchiosi e gattopardi distratti che lasciano a iene e sciacalli la libertà di saccheggiare le libertà morali e materiali della Sicilia. Resta il sorriso dell’ignoto marinaio a suggerirci che “il barone Mandralisca è l’opposto del Gattopardo.


Mandralisca è il vero siciliano: quello che non accetta compromessi, si ribella e paga in prima persona la sua ribellione”. Uno, cento, mille di quei siciliani che hanno accettato la morte come prezzo da pagare ma che non sono morti in silenzio.

“La storia di Mandralisca – ammette Vincenzo Consolo – rispecchia la storia di quegli anni ’70 vissuti mentre scrivevo il libro. Un rinnovamento interrotto. Quasimodo chiamava la televisione il video della vita. Oggi per me è il video della morte”.

Ma le immagini dei media non affievoliscono il senso di ribellione dei siciliani. Non lo affievoliscono neppure i risultati elettorali: “Speravo in un cambiamento alle regionali. Invece…”. C’è una Sicilia sussultoria che non dà tregua né a Fenici né a Spagnoli e che non vuol darne alla mafia e a quell’immensa zona grigia che poi vota come vota.

Tant’è che la ribellione culturale di Consolo al Gattopardo porta a scelte di ribellione linguistica e letteraria. Consolo letterariamente combatte al fianco di De Roberto che nei suoi Vicerè descrive minuziosamente il pascolo oscuro di Catania dove pecore bianche e nere convivono e nel buio alla fine appaiono grigie, indistinte. Il pascolo brado della politica dei compromessi che ha messo in netta minoranza le forze progressiste e che tra quelle stesse forze riesce a scegliere i più adatti, accendendo contratti di padrinaggio non solo metaforici. Spegnendo la speranza degli umili. Rubando le energie di chi ha creduto in una primavera della società civile.

E’ contro quella zona grigia della vita, della politica, della società, della cronaca e della letteratura che si scaglia intatto dopo trent’anni il sorriso del barone Mandralisca.

“Aveva un bel dire il principe di Salina “Dopo noi leoni e gattopardi arriveranno iene e sciacalli”. Giacché quei nobili non si accorgevano di essere essi stessi iene e sciacalli – dice Consolo, col tono soppesato di una sentenza che promana direttamente dalla Storia – Non si accorgevano di aver consentito alle iene e agli sciacalli della mafia di infiltrarsi nei loro feudi e di diventarne poco a poco gli autentici padroni”. Una metafora di grande attualità per i progressisti siciliani.


Destiamoci presto, subito, ora, suggerisce lo scrittore scomodo, adottiamo il linguaggio della ribellione culturale, senza sconti per nessuno. Perché la storia non fa sconti a nessuno. Quando si furon svegliati, leoni e gattopardi, ormai era troppo tardi. Iene e sciacalli li avevano circondati. Affamarli e ucciderli, sarebbe stata questione di tempo. Non molto tempo.


Palermo, novembre 2006